Cambiano i tempi, cambia il mondo e la nostra società, il mio lavoro si trasforma, i pazienti e i loro disturbi sono mutati… E rilevo nei miei pazienti, con sempre maggiore frequenza, il tratto caratteriale dell’impulsività, nelle diverse declinazioni possibili. Questa impulsività emerge talvolta capricciosa, trasgressiva e sfrontata, ma spesso non ha il vigore di una spinta che ha dovuto tracimare dagli argini perché forse non ha mai incontrato argini, ostacoli. È un’impulsività che straborda invadente ma che si ritira presto, perché non è abituata a lottare. Al di là del bene e del male. L’impulsività di cui parlo è espressione del nostro tempo, è figlia della nostra cultura che ha conservato in soffitta la memoria e valorizza soprattutto l’istante presente, è figlia della nostra pedagogia che asseconda, compiace e nasconde la fatica e il tempo. È un’impulsività che non ha prospettiva, che rimane nell’istante presente e che non riesce a sostenere il tempo dell’attesa, le pause e l’impegno differito. Questa caratteristica del temperamento mi appare subito evidente anche nella richiesta di aiuto psicologico, soprattutto quando viene formulata attraverso il web e i social: i potenziali clienti sembrano avere urgenza nel formulare la domanda di aiuto, la quale trova appunto la più pronta espressione in un messaggio scritto sui social, sul sito o sui portali dedicati; l’urgenza e l’incontinenza di questi messaggi appare molto maggiore della necessità di una risposta professionale adeguata: il cliente-utente del web mantiene talvolta il proprio anonimato e si “accontenta” di una risposta sintetica e impersonale, competente ma rapida e si riserva il diritto di essere libero di cercare ancora altre possibili risposte smart per il suo problema; ha bisogno di evitare contatti approfonditi, conservare con ostinazione il proprio disimpegno e seguire la propria impulsiva necessità di aiuto in modo estemporaneo. “Tutto e subito”, tutte le possibili risposte competenti e professionali, di aiuto psicologico, all’istante. Gli utenti del web e i potenziali clienti di un servizio psicologico su internet si aspettano una risposta last minute, pertinente ed efficace in tempi rapidi, non sono in grado di aspettare perché il motivo della ricerca di aiuto è estemporaneo e impulsivo e quindi presto possono venire meno sia l’impegno che lo stesso bisogno. E già, perché anche la motivazione urgente, che sostiene la ricerca di aiuto, è legata all’istante e può dissolversi rapidamente, non riuscendo a sostenere il minimo impegno di partecipazione, necessario all’intervento psicologico. Si tratta dunque di un’impulsività che appare capricciosa: emerge una spinta all’azione per un bisogno che si presenta come impellente e inderogabile ma che si spegne facilmente, in modo altrettanto impulsivo, esaurendo in poco tempo l’energia che serve a sostenere la richiesta di aiuto e l’impegno necessario all’intervento. Quando questo tipo di potenziale cliente, incontinente e impulsivo, non riceve una risposta veloce e risolutiva si irrita e rimane deluso, diventa “infedele” e cerca rapidamente un’alternativa oppure ancora può rinunciare alla stessa richiesta di aiuto. Ma è corretto e utile inseguire l’utente impulsivo in questa turbinosa e impellente esigenza? È “cosa buona e giusta” servire tempestivamente una risposta su misura ad una richiesta di psicoterapia last minute? Queste domande trovano la loro legittimazione nell’aumento delle sindromi psicopatologiche che presentano un tratto di impulsività e nella diffusione nella nostra società di uno stile comportamentale molto reattivo e votato all’estemporaneità. Ma, naturalmente, si tratta di un errore di principio e di metodo compiacere la fretta nel contesto di aiuto e intervento psicologico che ha, da sempre, bisogno di tempi e respiri lunghi.
La psicoterapia non è un prodotto di consumo “usa e getta” e non è sano “imboccare” i pazienti-consumatori con panini di psicoterapia fast-food. Eppure, lo confesso, io l’ho fatto… ho provato ad inseguire questo tipo di clienti e le loro richieste impulsive di aiuto psicologico. L’ho fatto ma spesso senza grandi successi: il problema presentato è a-riflessivo e urgente, troppo specifico o troppo generico, avulso da qualsiasi contestualizzazione o da approfondimento psicologico; l’aspettativa è spesso irrealistica, anch’essa decontestualizzata e poco consapevole. L’impulsività governa apparentemente tutto il processo: l’identificazione e la descrizione del problema, il bisogno e la richiesta di aiuto (formulati talvolta in modo sintetico sul sito web, sui social o su un sms) e l’aspettativa inconsapevolmente miracolistica di una facile ma competente soluzione alle difficoltà, ai disagi e ai disturbi psicologici. Aspettative spietate. Il tempo e la precisione tecnica di un cambio di gomme ai box dei circuiti della formula uno. Ma poi basterebbe essere efficienti e veloci come i tecnici della formula uno per affrontare efficacemente e risolvere i problemi presentati da questi utenti? Il mio mestiere può vivere di spontaneità e di istantaneità creativa ma si valorizza con l’esperienza, i tempi lunghi dell’attesa e della riflessione. Assecondare un atteggiamento impulsivo e centrato sull’estemporaneità stravolge e deforma la peculiarità dell’intervento psicologico di cura e lo rende provvisorio, precario, aleatorio; viene meno il costrutto metodologico del percorso psicoterapeutico che si realizza invece attraverso una sequela di incontri che si inseguono con una tempistica adeguata, legati l’uno all’altro con un filo rosso che unisce racconti, esperienze, memorie, significati, intuizioni e trasformazioni. Tuttavia l’ho detto prima e lo ammetto, ho ascoltato e accolto le esigenze e le richieste impulsive di questi aspiranti clienti, riservandomi di far capire in seguito, lungo il percorso di cura psicoterapeutica, che l’intervento psicologico non può realizzarsi con aspettative impazienti e tempistica di urgenza e che la fretta impulsiva è parte del problema se non addirittura il problema stesso. Ma, ahimè, non ho avuto sempre il tempo e la possibilità, in corso d’opera e insieme al cliente impulsivo di turno, di riformulare ragionevolmente la richiesta e pianificare adeguatamente l’intervento di cura psicologica. Ma ho abbracciato questa impresa quasi impossibile perché ho sempre dato importanza prioritaria ai bisogni e ai desideri manifestati dalle persone che poi sono diventate miei pazienti. E l’ho fatto naturalmente anche quando i bisogni e i desideri apparivano ambivalenti, oscuri o rimossi. La prima parte di una psicoterapia è dedicata infatti al disvelamento di ciò che sottende la richiesta di aiuto: la sofferenza sintomatica di un bisogno frustrato, il dolore che segue un desiderio insoddisfatto e la ricerca di aiuto psicologico sono elementi fondanti per una di psicoterapia. Ma i bisogni impulsivi hanno la peculiarità di non maturare quasi mai in una forma di Desiderio, esperienza intima complessa che si sviluppa e può diventare consapevole nei tempi dell’assenza e della mancanza, nell’ardente attesa e nella speranza, nella preparazione dell’azione e nella soddisfazione differita. L’impulsività non tollera frustrazioni né perdite di tempo e mal s’adatta alle regole e ai tempi della psicoterapia, non è interessata al passato e ai ricordi e non guarda al futuro perché non ha la pazienza necessaria per le speranze e per i progetti. Il paziente impulsivo vive l’istante presente come l’unica dimensione possibile dell’esperienza temporale, cortocircuito sia dell’emergenza dell’impulso che della soddisfazione che deve seguire immediatamente, risolvendosi in una scarica di tensione emotiva ed affettiva. L’impossibilità di realizzare l’esito di questo cortocircuito mette sotto scacco l’esperienza della persona impulsiva, provocando delusione, irritazione e talvolta una deflagrante disperazione o una rabbia esplosiva che deve trovare per necessità un’altra via di scarica emotiva.
Ma io sto parlando soprattutto di “certe piccolissime impulsività”, prive di energia quanto della tolleranza alle frustrazioni, impulsi arresi all’ostacolo, impossibilitati al differimento, e inclini alla rinuncia; impulsi volatili e capricciosi che cambiano continuamente direzione; impulsi che hanno bisogno di negare ogni volta l’esperienza precedente per affrontare ingenuamente la nuova; impulsività che però non ha la veemenza e la frequenza delle manifestazioni impulsive di personalità significativamente disturbate. Il rischio concreto di accettare pazienti che si presentano con questa caratteristica è quello di vederli disertare presto il setting psicoterapeutico di fronte alla deludente consapevolezza che l’aiuto psicologico ha bisogno di tempo per realizzarsi; abbandoni anticipati senza saluto e qualche volta ancor prima di cominciare gli incontri -dopo telefonata e relativo appuntamento- con l’intenzione di non lasciare traccia; come non fosse mai avvenuto l’incontro o mai preso l’appuntamento, come fosse scomparsa la sofferenza e improvvisamente inutile la richiesta di aiuto. Alla richiesta urgente di una risposta personale al proprio disagio segue repentinamente un’asettica e impersonale assenza. Il rischio è quello dell’infedeltà, con la consultazione contemporanea di diversi professionisti e diverse soluzioni da scegliere in base a sensazioni personali o a presunti ragionamenti oggettivi; su tutto però governa l’urgenza, l’urgenza di ottenere la soluzione nel più breve tempo disponibile. Tutto comincia, se comincia, nell’istante e tutto può finire rapidamente e in modo apparentemente indolore. Urgenza e inconsapevolezza, mancanza di tempo per raggiungere la consapevolezza. Sembra di avere poco tempo a disposizione e una sola possibilità per trattenere questo tipo di pazienti: bisogna interessarli subito, stupirli, “vendergli il prodotto” della psicoterapia… un’alta performance, una guarigione garantita senza fatica e in tempi brevi… Ma è questo il compito di uno psicoterapeuta? Bisogna riuscire a vendere l’articolo della psicoterapia a pazienti-consumatori difficili e riluttanti? No, certamente. Il paradigma di intervento deve essere sufficientemente chiaro: se il sintomo è caratterizzato da forme di impulsività patologica la strada della cura deve essere percorsa con la giusta lentezza, con i tempi dilatati della psicoterapia; si deve sperimentare la necessità dell’attesa, sapersi impegnare, procrastinare. Se i pazienti accettano di affidarsi all’intervento di aiuto che hanno richiesto possono imparare a liberare se stessi e i propri impulsi dalla coercizione dell’immediatezza, dell’istantaneità; questi “figli di un impulso minore” hanno bisogno di imparare ad aspettare, ad insistere nell’impegno, imparare a non disertare il dolore dell’attesa. L’alternativa è sempre la stessa: un altro giro di giostra con un altro professionista più performante o con un’altra promessa di guarigione last minute venduta sul web… game over!
Credo che ci troviamo davanti ad un disagio psicologico che è l’esito di una trasformazione antropologica progressiva. L’uomo impulsivo, abitante e figlio legittimo del nostro tempo, sembra una sorta di pistolero più veloce del west, uno che sente di dover sparare per primo per sopravvivere ma che, paradossalmente, non ha le munizioni; uno che non ha mai tempo come il coniglio bianco di Alice, uno che insegue compulsivamente i propri bisogni ma che è difficile da seguire; uno che sente tutto il potere dei propri impulsi, che sempre lo prescindono, ma che non ha mai il tempo né l’energia per soddisfarli; uno che si stanca presto, che non tollera gli ostacoli, le difficoltà e l’impegno necessario e dunque, irritato, volge altrove lo sguardo. Questa impulsività minore, non impetuosa ma capricciosa e instabile, è davvero figlia della società del nostro tempo, dei modelli culturali prevalenti e dei valori di riferimento; è figlia soprattutto del progresso tecnologico e della globalizzazione digitale che ci donano velocità e semplificazione senza fatica; è un’impulsività che trova espressione nelle nostre relazioni precarie e instabili e gode della nostra mobilità territoriale e psicologica; si esprime compulsivamente con i cellulari, i social e i telecomandi; è figlia della nostra ubiquità digitale e delle nostre infinite possibilità comunicative; l’impulsività contemporanea è allevata e favorita dalla nostra pedagogia giustificazionista ad oltranza e dei nostri stili educativi incapaci di mediare l’esperienza della frustrazione e di indicare la strada della fatica e del differimento.
Accogliere le richieste di aiuto psicologico di questa nuova generazione di pazienti impulsivi e incontinenti è insieme un rischio e un’opportunità per la nostra disciplina, forse perfino una necessità: c’è il rischio di sconvolgere gli strumenti e gli scopi della psicoterapia; c’è il rischio del fallimento e della delusione, umana e professionale di fronte alle defezioni precoci dei pazienti; ma il tentativo di dare una risposta professionale, sia pure flessibile e originale, anche a questi speedy-pazienti, difficili da “trattenere” e poco aderenti al metodo psicoterapeutico, sta diventando sempre più un’opportunità per chi voglia comprendere meglio le trasformazioni sociali e psicologiche in atto nella nostra epoca e dare il proprio contributo per affrontare con competenza e curare le nuove forme di disagio e i nuovi disturbi psicopatologici.
Letture suggerite
Cristian Muscelli, Giovanni Stanghellini, Istantaneità, 2012, FrancoAngeli
Massimo Recalcati, Ritratti del desiderio, 2012, Raffaello Cortina Editore
Massimo Recalcati, I tabù del mondo, 2017, Einaudi
Manuela Trinca, Paolo Sarti, La giusta fatica di crescere, 2014, Feltrinelli
Tiziana Battisti
Psicologo Psicoterapeuta a Latina (LT)
Iscrizione Albo n. N°3438 anno 1993
P.I. 01894430683